sabato 6 marzo 2010

Miti e modernità

Chi non ha il coraggio di aprirsi alla crisi, rinunciando alle idee-mito che finora hanno diretto la sua vita, si espone a quella inquietudine propria di chi più non capisce, più non si orienta.
Umberto Galimberti, I miti del nostro tempo, Milano, Feltrinelli, 2009, pp.406, E. 19,00

Sin dai tempi più remoti il mito, nella sua veste arcana e fiabesca,  ha accompagnato la storia dell'umanità. Il suo significato etimologico è pervaso da un alone leggendario che gli è valso la definizione più comune di narrazione idealizzata della realtà. Pertanto l'opposto del mito, che si attua per mezzo della demitizzazione, consiste nel crollo del sistema idealistico che riconduce l'esistenza alla sua autentica veridicità. Come afferma Ryle "Il mito non è una fiaba, ma piuttosto un presentare certi fatti in un idioma non appropriato. Dunque far saltare un mito non è negare quei fatti, ma restituirli al loro idioma." (G. Ryle, Lo spirito come comportamento, 1949, p. 4)
Con questa citazione di apertura alla sua ultima pubblicazione, Umberto Galimberti introduce il tema de I miti del nostro tempo, testo consacrato all'analisi del mito nella contemporaneità. Che la nostra società sia invasa da miti è un dato di fatto: lo confermano il moderno linguaggio comunicativo e le immagini martellanti della pubblicità che ci vengono offerte quotidianamente attraverso canali di trasmissione sempre più sofisticati. I miti sono idee, come le definisce Galimberti, "idee che ci possiedono e ci governano" (p.11) attraverso meccanismi profondi radicati nella nostra psiche, a volte persino sconosciuti alla ragione. Ora, accade che alla stabilità interiore delle idee-mitizzate, che caratterizza la forma mentis individuale, si contrappone la rapida metamorfosi della vita esteriore; per cui restare ancorati a un pensiero fossilizzato ci impedisce di comprendere il mondo odierno e di stare al passo con l'incessante divenire della società.
Le trasformazioni che investono le dinamiche sociali hanno prevedibili ripercussioni sulla psiche individuale, che, ancorata ad uno schema di idee fisse, vede estinguersi ogni sua capacità critica e valutativa. Pertanto, è necessario un rinnovamento a livello psichico, "un radicale superamento dell'inerzia della mente" (p. 12) che implica come condizione necessaria lo svecchiamento dei miti.
Attraverso questo testo, Galimberti è riuscito nel suo intento di presentare agli occhi del lettore un quadro realistico della società attuale, nella quale si riflettono temi e problemi comuni. Sfogliando le pagine del libro, è facile riconoscere negli aspetti che vengono di volta in volta trattati, le ansie, i dubbi e le paure di ognuno. L'autore fonda la sua riflessione su una bipartizione sistematica, individuando due macroaree: i miti individuali e i miti collettivi, e passa in rassegna tematiche di grande peso nel dibattito contemporaneo. Si va da dal costume sociale: il mito della moda, del potere, della giovinezza, dell'identità sessuale, alla diffidenza che ancora mostriamo nei confronti del progresso tecnico-scientifico, e poi al tanto temuto terrorismo e alla sfida tutta contemporanea della globalizzazione.
La parola chiave dell'intero testo sembra essere - ricorrendo a un' espressione già sentita in ambito filosofico - "trasvalutazione dei valori". Ancora una volta Galimberti affronta la minaccia dell'annichilimento psichico, e lo fa seguendo una linea di riflessione di nietzschiana memoria. Del resto solo qualche anno fa, ne L'ospite inquietante  si è interessato al problema dei rapporti tra individuo e società.
A questo punto, magari, verrebbe da chiedersi: siamo veramente pronti per vivere nel "nostro tempo"?