martedì 27 ottobre 2009

Strategie di (non) lettura


Ovvero, "Come parlare di un libro senza averlo mai letto?" Se lo è chiesto lo scrittore e psicanalista francese Pierre Bayard, che in un suo saggio recente, dato alle stampe nel 2007, ha lanciato una provocazione al mondo della cultura e dell'editoria, propinando ciò che apppare una sorta di manuale di istruzioni per abituarsi alla non lettura . Chissà se avrà pensato al successo assicurato tra il pubblico giovanile, quando ha deciso di intitolare il suo libro con l'interrogativo menzionato sopra, ad ogni modo è facile immaginare che un testo simile  avrà senz'altro destato la curiosità di studenti allettati dalla possibilità di vedersi dimezzate le ore di studio in vista di esami e interrogazioni, con la quasi certezza di rendere comunque al meglio. E ancora, ci si domanda, avrà mai tenuto conto delle critiche che si sarebbe attirato, pubblicando un testo simile, in un'epoca in cui si parla di crisi del settore editoriale, e in cui i giovani si rifugiano sempre più nelle novità dell'elettronica anziché della carta stampata?
Leggendo il testo con attenzione, il che potrebbe sembrare un tantino ironico in tale contesto, ci si accorge però che l'intento dell'autore è decisamente un altro, e che il titolo del suo libro, che apparentemente suona come un invito alla non lettura, in realtà rappresenta la chiave di accesso al meraviglioso e sconfinato mondo dei libri e della letteratura, fatto di pensieri, ricordi, idee, di un continuo dialogo intertestuale costruito dagli stessi testi. 
Quante volte ci sarà capitato che, leggendo un romanzo appena acquistato, già dall'incipit intuiamo il prosieguo della storia. Un processo inverso ha luogo, invece, nel momento in cui un frase letta tra le righe di un libro nuovo ci rimanda quasi inconsciamente a un libro vecchio, letto qualche anno addietro, magari a scuola, e che giace impolverato nello scaffale della nostra libreria, e che forse avevamo dimenticato di possedere, o addirittura di aver letto. Ed ecco che, come per magia, tutta la trama ci ritorna in mente, un episodio saliente, qualche personaggio che ci ha colpiti; e poi ci rendiamo conto di essere in grado di raccontarla, la trama, di parlare di quel vecchio libro che sembrava uscito dai nostri ricordi. 
Bayard propone una sorta di catalogazione dei libri, distinguendo tra libri che non si conoscono, libri che si sono sfogliati, libri di cui si è sentito parlare, libri che si sono dimenticati, e giunge alla conclusione che "non è tanto il libro come tale ad esistere, ma l'insieme di una situazione di comunicazione in cui esso circola e si modifica", e che pertanto "è proprio a questa situazione che bisogna dimostrarsi sensibili per essere in grado di parlare di un libro senza averlo letto".
La lettura, da atto passivo come può sembrare, diventa quindi un'occasione per esprimere la propria creatività, dal momento che leggere non è soltanto ricezione, bensì trasformazione, riflessione ed intuizione.  
Speriamo, a questo punto, che quanto detto possa essere di aiuto e di conforto a tutti coloro che al cospetto di un grande, ed imponente, capolavoro letterario dalle mille pagine in su appaiono ancora sconvolti e titubanti. 


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sabato 12 settembre 2009

"Emotion recollected in tranquillity"...


... con questa espressione il celebre poeta romantico William Wordsworth rendeva nota la sua definizione di poesia, una serie di riflessioni scaturite da una emozione provata di fronte ad un evento verificatosi in passato e riportata alla mente nella calma e nella solitudine del suo studio.
La letteratura novecentesca offre diversi esempi di poesie nate da ricordi custoditi nel profondo dell'animo e riaffiorati alla coscienza nel corso di un avvenimento, spesso si tratta di un semplice gesto o di una semplice azione quotidiana, che ci riporta indietro nel tempo  al momento in in cui tale esperienza è stata vissuta. 
Un oggetto particolare, un suono, una fotografia, un quadro, qualsiasi cosa può far scattare nella nostra mente le intermittenze di cuore di memoria proustiana o i momenti epifanici che caratterizzano i personaggi di Joyce.

Questo breve excursus letterario ha la funzione di spiegare la genesi di una poesia che ho scritto di getto qualche tempo fa, dopo avere osservato una foto di un viaggio recente che ritraeva una Parigi innevata. Improvvisamente mi sono ritrovata lì, in una ville lumière imbiancata dalla neve, fredda e un po' malinconica, a passeggiare sul romantico Pont des Arts, intenta ad osservare una coppia di innamorati dall'aria triste. 
Questa poesia, dedicata all'inverno, alla stagione fredda che ci apprestiamo ad accogliere in quest'ultimo scampolo d'estate, termina con una nota di speranza, quasi un inizio della primavera fuori e dentro l'anima.
L'ho scritta di getto, e in francese, consapevole del fatto che non sarei riuscita a rendere al meglio le mie emozioni in un altra lingua.
 

L'hiver

Blanche, la neige tombe,

candide, resplendissante,

sur le sol gelé.

 

Pure, la pluie descend.

Ces gouttes envoûtantes,

les larmes du ciel.

 

Coulent les eaux courantes,

brille le fleuve glacé.

La ville est trempée.

 

Ça réchauffe mon coeur,

heureux de t’embrasser.


 

Robert Doisneau, Le Baiser de l' hôtel de ville (1950)